Edmondo Tamajo, Cateno De Luca, Riccardo Savona, Luigi Genovese: sono questi i nomi dei 4 deputati neo eletti all’Assemblea Regionale Siciliana implicati in procedimenti giudiziari o accusati a vario titolo di reati che vanno dall’evasione fiscale all’associazione a delinquere, passando per il peculato e il riciclaggio di denaro sporco.
All’indomani(nel vero senso della parola) della consultazione elettorale in Sicilia, ancora una volta coloro che dovrebbero rappresentare la popolazione, promettendo fantomatici cambiamenti e facendosi portavoce di istanze e diritti, si trovano malauguratamente costretti a dare ragione delle loro attività più o meno legittime. Qualcosa di nuovo? Purtroppo no, il copione segue sempre la stessa trama e da decenni la “telenovela” istituzionale siciliana prosegue ininterrotta senza il minimo colpo di scena.
Se è pur vero che oggi il tribunale del riesame ha annullato le misure interdittive a carico di Cateno De Luca, permane un retrogusto amarognolo, specie se si guarda ai risultati delle regionali emersi nella città di Messina dove Forza Italia ha conquistato lo scettro di partito più votato (con il 23, 46% di preferenze), forte degli oltre 17.000 voti del figlio ventunenne di Francantonio Genovese, dirottati dal PD al partito di Silvio Berlusconi.
Luigi Genovose è accusato di essere stato il prestanome del padre per alcune sue operazioni illecite e risulta attualmente indagato perché avrebbe riciclato circa 30 milioni di euro, di cui 16 milioni in fondi esteri schermati da una polizza accesa tramite un conto svizzero.
Se la giustizia è chiamata da parte sua a fare il suo corso, cercando di stabilire le effettive responsabilità degli indagati, qualcosa di sicuro non quadra nella scelta dei propri rappresentanti da parte dei cittadini. I messinesi, com’è noto, appaiono sempre scontenti di se stessi e della propria città: chi viene da fuori a visitare Messina non ha quasi mai il piacere di imbattersi in discorsi sanamente “campanilistici” che trasudano amore dei messinesi verso la propria città, anzi presto o tardi si ritrovano a subire quella sorta di autocommiserazione disfattista che si riversa poi tragicamente anche all’interno della cabina elettorale.
Meglio soffocare la propria consapevolezza civica e votare per il personaggio più in vista, il caciarone, il potente clamoroso che grida e promette mari e monti (come una spintarella lavorativa, la risoluzione di una qualche bega, o semplicemente farsi revocare una multa), per poi riprendere il giorno dopo a lamentarsi dei disservizi, delle strade sterrate, dei divieti di parcheggio in doppia fila (ricordate peddire?) senza poi avere il coraggio di rimboccarsi seriamente le maniche e dare il proprio contribuito civico.
Messina è una città antica, illustre e bellissima, ma necessita di un cambio immagine urgente, oltraggiata, violentata com’è. Da troppo tempo è abbandonata allo sfascio politico e sociale che francamente non merita.
“Che fare?” si chiedevano i paesani del romanzo “Fontamara” scritto da Ignazio Silone, quando privati del loro compaesano più carismatico decidono di unirsi per fondare un giornale clandestino intitolato proprio “Che Fare?”. Lo scopo è radunare le forze e farsi sentire contro le sopraffazioni dei potenti, ma l’esperienza è effimera perché di lì a poco le squadre fasciste tornano a colpire il paesino di Fontamara. Tuttavia la domanda di Silone non si spegne e svetta ancora più prepotente ora, assumendo connotati a metà tra il sinistro e l’ottimista: “Che fare?”